I COLORI DEL FORTE
Andrea Spavento
I Colori del Forte
testo critico a cura di Gaetano Salerno
“Non desidero una rosa a Natale
più di quanto possa desiderar la neve a maggio.
D'ogni cosa mi piace che maturi quand'è la sua stagione”
William Shakespeare
Solo negli occhi di chi sa cercare, la bellezza intrinseca e immediata della natura può risvegliarsi e
manifestarsi inaspettata, imponendosi con energia oltre ogni pensiero o forma intuita o idealizzata,
rivelandosi per ciò che è, per ciò che è stata, per ciò che sarà, nella sua ripetitiva e reiterata
configurazione che non consente reali cambiamenti, solo lievi digressioni sul tema, solo lievi
distorsioni.
Ecco allora che osservando nella quotidianità questa natura, entrando fisicamente e
mentalmente in rapporto simbiotico con essa, ogni sguardo diventa immagine, ogni immagine
ritratto, sussistendo libera oltre la propria struttura terrena in quanto simbolo di una bellezza
spirituale, eterna, effimera solo nella struttura materica che deperisce lasciandoci però la
percezione e il profumo di un fiore sbocciato, sopravvissuto ai rigori invernali.
Aver saputo assecondare la ciclicità della natura, aver saputo aspettare la rosa a maggio e la
neve a Natale rispettando la biologia degli elementi, aver saputo instaurare un dialogo elettivo
con gli strumenti che l’ambiente ha messo a disposizione e che ha disposto nel palcoscenico di
uno spazio ricco e concluso come quello di Forte Marghera, luogo storico dell’entroterra
veneziano, ha consentito ad Andrea Spavento la stesura di un romanzo narrato per immagini,
scritto attraverso silenzi eloquenti come parole e nel quale è riuscito a coniugare due forti passioni,
la natura e la fotografia.
Due anni di lavoro lungo e continuo che il fotografo ha svolto seguendo l’alternarsi delle stagioni e
l’alternarsi del giorno e della notte, sviluppando un progetto documentativo che ha reso possibile
l’unione della precisione dell’animo visionario e appassionato del pittore di paesaggio alla ricerca
non soltanto del dato visuale oggettivo quanto piuttosto del sentimento di stupore che nasce di
fronte al mutare dei soggetti ritratti, alla loro imponderabilità, in funzione dei mutamenti di
atmosfera e di luce.
E al mutare degli elementi divenuti oggetto primario dell’indagine dell’artista, pochi e selezionati
all’interno di questo grande contenitore d’immagini, è corrisposto il mutare della scena, mai
uguale a se stessa, ripetuta invece con precisa determinazione per giungere all’elaborazione di
una fotografia seriale - lunga e articolata quanto il perimetro di questo meraviglioso e rigoglioso
ciclo rama - mai dichiaratamente pittorealista, mai eccessivamente autoreferenziale, mai